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Vaccini in Veneto. Coletto:

'Sono sicuri, vaccinatevi perchè l'influenza è pericolosa'

 

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IMMIGRAZIONE: SOCIAL CARD DA 40 EURO AL MESE AGLI EXTRACOMUNITARI

(MA È ANCHE UN REGALO DI RENZI A SALVINI)

 

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Impatto Imu e Tasi sulle imprese.

Ecco i Comuni che fanno pagare di più

 

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ECCO QUI SOTTO IL NOTIZIE SUL "DECRETO SALVA ITALIA"....... E COSENTINO E' LIBERO !!!

Le politiche sociali nel Decreto “salva-Italia”

 

Il Governo Monti, insediatosi a novembre 2011, ha approvato le prime misure straordinarie che ha definito “decreto salva-Italia” (“Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici.”, Decreto-legge 201, 6 dicembre 2011). Il testo, passerà ora all’esame delle Camere per la discussione e l’approvazione.

Due sono, in particolare, gli aspetti su cui vogliamo attirare l’attenzione. Il primo afferisce ai provvedimenti di natura fiscale e assistenziale che il Governo si riserva di assumere. Il secondo ambito riguarda la revisione dell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), cioè quella dichiarazione richiesta per l’accesso a prestazioni sociali agevolate.

Provvedimenti legislativi in materia fiscale e assistenziale

Su questo tema è necessario tornare alle manovre già approvate a luglio e a settembre dal precedente Governo Berlusconi (Leggi 111 e 148).

L’articolo 40 (comma 1 ter) della Legge 111/2011, con l’intento di recuperare 24 miliardi fra il 2013 e il 2014, prevedeva il taglio lineare dei “regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale” del 5 per cento per l’anno 2013 e del 20 per cento a decorrere dall’anno 2014.

Successivamente la Legge 148 ha anticipato i tempi al 2012 e aumentato la stima del risparmio atteso (40 miliardi in 3 anni).

“regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale” da sottoporre al taglio lineare sono elencati in un apposito allegato alla Legge 111 (allegato C bis). Fra le agevolazioni a rischio di eliminazione o riduzione si annoverano quelle cui più comunemente ricorrono i contribuenti: le detrazioni per le spese sanitarie, per gli interessi sui mutui, per i carichi di famiglia, ma anche le deduzioni per le spese di assistenza per i non autosufficienti, per gli ausili, per le protesi e molti altri oneri che, comunque, rimangono in carico al contribuente e che riducono il reddito che effettivamente rimane a loro disposizione.

Ma gli interventi restrittivi su quelle agevolazioni riservano anche ulteriori ricadute che gravano pesantemente sulle persone con disabilità. Fino ad oggi, in forza dell’articolo 24 del DPR 601/1973, le pensioni ai ciechi, agli invalidi civili, ai sordi, gli assegni di cura, i contributi regionali per la vita indipendente e qualsiasi altra provvidenza economica assistenziale non erano imponibili ai fini IRPEF.

Il taglio lineare di queste agevolazioni avrebbe colpito tutti i contribuenti, ma ancora di più le famiglie con la presenza di persone con disabilità o anziani non autosufficienti.

La clausola di salvaguardia

Nella Legge 111, il Governo aveva inserito una “clausola di salvaguardia” (art. 40, comma 1 quater) per consentire di evitare l’indifferenziato taglio lineare delle agevolazioni si abbattesse su tutti i contribuenti.

Il taglio si sarebbe evitato se “entro il 30 settembre 2013 [anticipato di un anno dalla Legge 148; NdR] siano adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali”.

E da questi provvedimenti doveva derivare un risparmio di 4 miliardi di euro per il 2012, 16 per il 2013, 20 dal 2014 in poi.

Il disegno di legge delega

Per dare rapida attuazione alla “clausola di salvaguardia”, il Ministro Tremonti depositò alla Camera, il 29 luglio 2011, il disegno di legge numero 4566, “Delega al governo per la riforma fiscale e assistenziale”.

L’intento è chiaro e dichiarato: una radicale trasformazione sia del sistema fiscale che di quello assistenziale. Di quest’ultimo si occupa l’articolo 10, intitolato “Interventi di riqualificazione e riordino della spesa in materia sociale”, che riguarda l’ISEE, i criteri di accesso alle prestazioni, le sovrapposizioni tra agevolazioni fiscali e programmi di spesa, l’indennità di accompagnamento, la social card e le funzioni dell’INPS. L’articolo 10 costituisce la “delega assistenziale”.

La discussione del testo è stata affidata alla Commissione Bilancio (unitamente alla Commissione Affari sociali per la parte assistenziale) che in questi mesi ha raccolto i pareri di esperti, parti sociali, associazioni, soggetti istituzionali.

Le critiche al testo, sia per la parte fiscale che assistenziale, sono state piuttosto forti e argomentate. La stessa Corte dei Conti ha giudicato insostenibile la proposta che emerge dal disegno di legge governativo.

Dopo le dimissioni del Governo Berlusconi, l’analisi in Commissione è proseguita, pur in un clima di forte incertezza: il nuovo Governo ricorrerà comunque a quella delega? Ne accetterà l’impostazione e i contenuti?

Monti interviene sulla clausola di salvaguardia

40 miliardi (4+16+20) da recuperare (da fisco e assistenza) in tre anni: questo impegno rimane anche per il Governo Monti, ma – avendo adottato come slogan “equità e rigore” – si pone la necessità di “ritoccare” anche quell’articolo 40 che prevedeva i tagli lineari sulle agevolazioni fiscali.

Il decreto cosiddetto “salva-Italia” cancella quella disposizione, ma la sostituisce con un’altra altrettanto lineare: l’innalzamento delle aliquote IVA, una soluzione a cui era già ricorso Tremonti ma non per compensare i tagli lineari.

Vediamo di seguito gli effetti, in termini di gettito, degli interventi sull'IVA.

 

Variazioni aliquote IVA

Gettito annuo previsto

Dopo la manovra di settembre 2011

IVA 20>21%

4 miliardi

Dopo il decreto “salva-Italia”

IVA 21>23%*

IVA 10>12%*

3,2 miliardi - 2012

13,1 miliardi -  2013

16,4 miliardi - 2014

* dal 1 ottobre 2012; dal 1 gennaio 2014, le aliquote vengono innalzate di altro mezzo punto (23,5 e 12,5%)

 

L’innalzamento del livello dell’IVA entra in vigore il 1 ottobre del 2012 e un secondo residuale aumento dello 0,50 % è previsto dal 1 gennaio del 2014.

Ma anche in questo caso, il Governo Monti, prevede la possibilità di evitare questo aumento.

Il meccanismo è identico a quello già in vigore previsto dal Governo precedente: l’aumento dell’IVA non si applica qualora entro il 30 settembre 2012 siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali (...)”.

In termini pratici, quindi, si lascia aperta l’opportunità di intervenire sull’assistenza e sulla previdenza.

Ma quanto si intende recuperare da queste eventuali successive azioni normative? La cifra è la medesima che sarebbe “coperta” dall’innalzamento delle aliquote IVA.

Vediamo il prospetto dei risparmi attesi (e richiesti) – da fisco e assistenza – dopo le diverse Manovre.

 

2012

2013

Dal 2014

Manovra di luglio (L. 111)

 

4 miliardi

20 miliardi

Manovra di settembre (L. 148)

4 miliardi

16 miliardi

20 miliardi

Manovra “salva-Italia” - Decreto-legge 201/2011

 

13,1 miliardi

16,4 miliardi

Dubbi sul futuro immediato

Dalla tabella risulta evidente che il Governo Monti, mantiene – al momento – la stessa riserva prevista dal Governo Berlusconi di legiferare in materia di assistenza e fisco, fino al raggiungimento di quei risparmi, anche se il nuovo Governo, dispone già misure di immediata applicazione relative, appunto, all’IVA.

Il primo interrogativo, rispetto al futuro, è se il Governo Monti preferisca applicare l’aumento delle aliquote IVA (che diverrebbero le più elevate d’Europa con effetti indotti non prevedibili su inflazione ed evasione), oppure se intenda annullare o mitigare questi aumenti intervenendo su fisco e assistenza.

Il secondo interrogativo riguarda la modalità di legiferare su quei delicati ambiti: il Governo Berlusconi aveva preferito presentare – come già detto – un disegno di legge delega, ma questo passaggio attraverso la delega legislativa non è strettamente previsto dalle Manovre di luglio e di settembre né dall’attuale decreto-legge 201/2011. Il Governo ha, quindi, diverse opzioni:

  • abbandonare la legge delega presentata da Tremonti e in esame alla Camera, preferendo invece l’approvazione di successivi specifici provvedimenti;

  • fare proprio il disegno di legge delega, introducendo alcuni correttivi, sfruttando così i tempi di una discussione già avvenuta;

  • depositare un proprio disegno di legge delega di riforma fiscale e assistenziale, ma – in questo caso – i tempi sarebbero estremamente limitati (le norme devono essere in vigore entro la fine del prossimo agosto).

 

Qualsiasi sia l’ipotesi che ci concretizzerà, sono inevitabili interventi di revisione normativa sia in ambito fiscale che assistenziale. Sui contenuti futuri – per ora ignoti – è difficile esprimersi, anche se l’insistita reiterazione nelle dichiarazioni governative dei riferimenti a “giovani, donne, famiglie numerose”, induce a riserve positive almeno per queste categorie di cittadini. Non vi sono, invece, indicazioni di alcun segno di riguardo per le persone con disabilità o per la non autosufficienza.

L’ISEE

In realtà, un intervento negli ambiti assistenziali e fiscali di cui fin qui abbiamo parlato il Decreto “salva-Italia” già lo dispone. L’articolo 5 del Decreto-legge 201/2011, infatti, si dedica a “Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie”.

Gli intenti di questo intervento vengono inquadrati – dal Governo – come “redistributivi” e non come “tagli”. L’articolo 5, in effetti, prevede che i risparmi derivanti da una nuova definizione dell’ISEE siano riassegnati al Fondo per le Politiche Sociali per essere destinati ad interventi in favore delle famiglie numerose, delle donne e dei giovani. Tuttavia, restringendo i criteri per la concessione anche di benefici e provvidenze assistenziali, gli aiuti che arrivano ad una nuova platea di beneficiari vengono sottratti a chi precedentemente ne godeva.

Il Fondo per le Politiche Sociali (finanziato con 69 milioni per il 2012 e 44 per il 2013) non viene alimentato con nuovi stanziamenti, ma con la riassegnazione di “risparmi” ora difficilmente quantificabili. Inoltre, viene posto un vincolo di destinazione (famiglie numerose, donne, giovani) che non include una delle maggiori emergenze nel settore assistenziale: la non autosufficienza.

Ma, per comprendere meglio, vediamo quali sono le disposizioni attuali e cosa prevede il Decreto-legge 201/2011 “salva-Italia”.

Situazione attuale

L’ISEE è indissolubilmente legato alla questione della partecipazione alla spesa per le prestazioni sociali. È cioè uno strumento cui si fa riferimento per calcolare se e quanto il cittadino deve partecipare alla spesa per le prestazioni sociali che gli vengono erogate.

Le origini normative sono all’interno della Legge 449/199 che, con l’articolo 59, dedica un’attenzione particolare ai temi della previdenza, dell’assistenza, della solidarietà sociale e della sanità. I commi dal 50 al 52 delegano il Governo ad indicare, attraverso uno o più decreti legislativi, “(...) criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate nei confronti di amministrazioni pubbliche (…)” (comma 51).

Come si calcola l’ISEE

Da quella norma di fine 1997 traggono origine, dal 1998, i provvedimenti che stabiliscono le regole a cui le Regioni, i Comuni e tutte le amministrazioni dovrebbero attenersi.

Vengono cioè definiti l’ISE, l’indicatore della situazione economica composto dall’indicatore della situazione reddituale (ISR) e dell’indicatore della situazione patrimoniale (ISP) che prende in considerazione il 20% del patrimonio mobiliare (azioni, depositi ecc.) e di quello immobiliare (case, immobili…). Vengono previste delle franchige (per la prima abitazione e per una parte dei risparmi).

L’ISE (ISP + il 20% dell’ISR) viene diviso per coefficienti che sono diversi a seconda della numerosità del nucleo familiare, della presenza nel nucleo di minori, disabili o anziani.

Quello che ne risulta è l’ISEE, uno strumento che tenta di ponderare la “disponibilità economica” alla composizione del nucleo familiare e che già oggi considera anche la componente patrimoniale oltre a quella reddituale.

Nel reddito non vengono computate, solitamente, le provvidenze assistenziali e i redditi esenti ai fini IRPEF. Infine, il D. Lgs. 130/2000 ha introdotto il principio del riferimento al solo “reddito individuale” nel caso di servizi volti a persone con grave disabilità.

Per le prestazioni sociali agevolate i riferimenti normativi più importanti sono il Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 e il Decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130 che ha modificato e integrato quello precedente. Ulteriori elementi regolamentari sono stati introdotti dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 aprile 2001, n. 242. Altre disposizioni hanno predisposto i modelli-tipo e le regole per la presentazione delle dichiarazioni ISEE.

Quanti sono i beneficiari dell’ISEE

Attualmente la famiglia che intende ottenere l’accesso agevolato a prestazioni di tipo sociale si rivolge ad patronato o ad un CAAF con la documentazione relativa alla condizione economica dell’intero nucleo. Viene elaborata la Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) cioè l’autocertificazione con cui il cittadino richiede le prestazioni agevolate.

Il Rapporto ISEE 2010 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali informa che nel corso del 2009 sono state 6,9 milioni le DSU sottoscritte, un milione in più rispetto all’anno precedente, corrispondente ad a una crescita del 17%. “Complessivamente, rispetto al 2002, anno di avvio nella sua piena funzionalità del Sistema informativo dell’ISEE, il numero di dichiarazioni è più che triplicato, passando da poco più di 2 milioni a quasi 7 milioni”.

Su quali prestazioni e servizi si applica l’ISEE

Riprendiamo il Rapporto ISEE 2010 e riassumiamo le prestazioni a cui si applica l’ISEE o per cui è escluso. Si tratta di elementi importanti per comprendere l’azione del Governo Monti prevista nell’articolo 5 del Decreto-legge 201/2011.

Prestazioni nazionali erogate sulla base dell’ISEE

  • Carta Acquisti (cd. Social Card)

  • Assegno per nuclei familiari con almeno tre figli minori

  • Assegno di maternità per le madri prive di altra garanzia assicurativa

  • Fornitura gratuita o semigratuita dei libri di testo

  • Erogazione borse di studio (ex L. n. 62/2000)

  • Prestazioni del diritto allo studio universitario

  • Tariffa sociale per il servizio di distribuzione e vendita dell’energia elettrica (bonus elettrico)

  • Agevolazione per il canone telefonico

Principali prestazioni locali che dovrebbero essere erogate sulla base dell’ISEE

  • Asili nido e altri servizi socio-educativi per l’infanzia

  • Mense scolastiche

  • Servizi socio-sanitari domiciliari

  • Servizi socio-sanitari diurni, residenziali ecc.

  • Altre prestazioni economiche assistenziali (ad es. reddito di cittadinanza, minimo vitale, assistenza straordinaria)

Principali prestazioni che utilizzano discrezionalmente l’ISEE pur in assenza di un obbligo specifico

  • Esenzione ticket sanitari (ad es. Regione Sicilia)

  • Agevolazione per tasse universitarie

  • Contributo per il pagamento dei canoni di locazione (ex L. 431/1998)

  • Agevolazioni per il canone di locazioni in edilizia residenziale pubblica

  • Agevolazione per trasporto locale

  • Servizio di scuola-bus

  • Agevolazioni per tributi locali (rifiuti solidi urbani)

  • Formulazione graduatorie per il pubblico impiego (ex art. 16 L. 56/1987)

Prestazioni nazionali per cui l’uso dell’ISEE è escluso dalla legge

  • Integrazione al minimo pensionistico

  • Assegno e pensione sociale

  • Maggiorazione sociale

  • Pensioni e assegni di invalidità civile

 

Come viene rivisto l’ISEE

L’articolo 5 del Decreto “salva-Italia” attribuisce alla Presidenza del Consiglio la facoltà di rivedere i criteri dell’ISEE entro il 31 maggio 2012, dopo aver sentito le commissioni parlamentari competenti.

Il testo però fissa gli ambiti che sono due: la revisione dei criteri di calcolo e l’elencazione delle agevolazioni, benefici, prestazioni a cui applicare il nuovo ISEE dal gennaio 2013.

I criteri di calcolo: patrimonio e reddito

Come abbiamo visto nella lunga premessa, l’ISE considera la situazione reddituale e patrimoniale, con esclusioni e franchige.

Il nuovo testo prevede che la revisione dei criteri sia volta a “rafforzare la rilevanza degli elementi di ricchezza patrimoniale della famiglia, nonché della percezione di somme anche se esenti da imposizione fiscale”.

Ciò significa che potranno “pesare” di più:

  • il valore dell’abitazione (magari calcolato con i nuovi estimi catastali, per ora applicabili solo all’ICI o IMU);

  • il valore di depositi e rendite finanziarie (magari rivedendo le attuali franchige).

Ma oltre a questo saranno computati, come disponibilità reddituale della famiglia, anche introiti esenti da IRPEF che attualmente non vengono conteggiati; qualche esempio:

  • pensioni, assegni, indennità agli invalidi civili, ciechi e sordi;

  • assegni, pensioni sociali e relative maggiorazioni;

  • alcune borse di studio;

  • rendite INAIL (invalidità sul lavoro);

  • compensi non superiori a 7.500 euro derivanti da attività sportive dilettantistiche;

  • ecc.

Il computo anche di queste “voci” nella definizione dell’ISEE familiare, fermi restando gli altri criteri, può comportare per un numero indefinito di famiglie l’esclusione dall’accesso a prestazioni, servizi o benefici agevolati.

A cosa si applicherà l’ISEE

Come evidenziato in precedenza, oggi l’ISEE si applica ad un numero, tutto sommato, limitato di situazioni.

L’articolo 5 del nuovo Decreto prevede che, con un successivo decreto, siano “individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie, nonché le provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso”. E prosegue con un periodo di non facile traduzione: “Restano, comunque, fermi anche i requisiti reddituali già previsti dalla normativa vigente”.

Dunque, “agevolazioni fiscali e tariffarie”: sembrerebbe che l’intento sia di legare alcune agevolazioni fiscali all’ISEE. Mentre per alcune (poche) agevolazioni tariffarie questo già avviene, in ambito tributario questo rappresenterebbe una autentica novità che potrebbe essere favorevole per alcuni (bassi redditi, famiglie numerose) e sfavorevole per altri (redditi medi, famiglie monocomponenti). Il tutto dipende ovviamente dal limite ISEE che verrà definito. Si notano similitudini (in questa impostazione) con alcune elaborazioni sul quoziente familiare che, tuttavia, la norma non cita.

Il periodo “Restano, comunque, fermi anche i requisiti reddituali già previsti dalla normativa vigente”, in tal senso, potrebbe essere letto in termini di possibilità di scelta del regime di maggior favore, anche se, in tal caso, i “risparmi” sarebbero davvero limitati. Più probabile che vengano imposti entrambi.

Più preoccupante l’altro aspetto, quello relativo alle “provvidenze di natura assistenziale”. Fra queste sono sicuramente da annoverare pensioni, indennità e assegni agli invalidi civili. Attualmente ci si riferisce al reddito lordo personale, non certo all’ISEE. Alcune provvidenze assistenziali (una fra tutte: l’indennità di accompagnamento) addirittura non prevedono nemmeno un limite reddituale: vengono erogate al solo titolo della minorazione.

Ad un’analisi letterale del testo non si può certo escludere che l’ISEE assurga a riferimento per l’erogazione delle provvidenze economiche agli invalidi civili, né che l’indennità di accompagnamento possa rientrare fra le prestazioni elencante dal nuovo decreto e, quindi, venire erogata solo se non si supera un determinato ISEE.

La prospettiva non è, quindi, delle più rosee.

Assegno sociale e invalidi ultra65enni

Come noto, al compimento del 65esimo anno di età gli invalidi civili cessano di percepire la pensione o l’assegno e, se rientrano in determinati limiti reddituali, ricevono l’assegno sociale (che è di importo maggiore alla pensione o all’assegno da invalidi). Lo stesso avviene per i sordi già titolari di pensione.

Il Decreto 201/2011, prevede (art. 24, comma 8) che a decorrere dal 1° gennaio 2018 il requisito anagrafico per il conseguimento dell’assegno è incrementato di un anno. Da quella data bisognerà attendere il compimento del 66esimo anno.

Fondo per l’occupazione

L’articolo 24 (comma 27) istituisce presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali il “Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell’incremento in termini quantitativi e qualitativi dell’occupazione giovanile e delle donne”.

Il Fondo è finanziato per l’anno 2012 con 200 milioni di euro e a decorrere dall’anno 2013 con 300 milioni di euro. Con decreti del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concento con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sono definiti i criteri e le modalità istitutive del predetto Fondo.

Il Legislatore, nonostante i preoccupanti dati emersi dall’ultima Relazione sullo stato di attuazione della Legge 68/1999 che evidenzia la drammatica situazione dell’occupazione della persone con disabilità, non amplia le destinazioni del fondo anche a questa emergenza. Ci si augura che questo possa accadere in sede di definizione dei decreti attuativi.

 

6 dicembre 2011

Aggiornamento: il cosiddetto "decreto salva-Italia" è stato definitivamente approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. La norma di riferimento è la Legge 22 dicembre 2011, n. 214.

 

Quanti morti a causa Sua Comandante Schettino

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GRAZIE PER AVER SOSTENUTO IL LIBRO PER RACCOGLIERE FONDI.

 

NON FERMIAMOCI!!!


 

UMBERTO D'ANNA

DA VEDERE ASSOLUTAMENTE

Manovra bis: compensazioni quote disabili nelle Pubbliche amministrazioni e nel privato

Le novità sulle compensazioni - In merito alla compensazione circa le assunzioni dei disabili da parte di imprese private e P.a., la legge n. 148/2011 (d.l. 138/2011) dispone che venga modificato il comma 8, articolo 5, della legge n. 68 del 12 marzo 1999, il quale ha finora regolato i criteri di gestione dei reclutamenti di unità lavorative affette da diversi gradi di disabilità. In base alle variazioni introdotte dalla manovra di Ferragosto, le compensazioni divengono obbligatorie e su base nazionale, ciò vuol dire che sull’intera Penisola dovranno essere rispettati in fase di assunzione i criteri che determinano la presenza di una quota disabili. Per quel che riguarda il privato, si tratta di una prassi già attiva secondo differenti modalità che proprio la legge 148/2011 ha recentemente modificato, mentre per le Amministrazioni pubbliche si è al cospetto di vere e proprie novità. L’attuale prassi disposta dalla manovra bis prevede che, da un lato, le imprese private assumano personale disabile da inserire in diversi comparti produttivi dell’azienda, dall’altro, che, qualora di dovesse trattare di un gruppo imprenditoriale, la suddetta quota può essere superiore a quella standard per ciò che riguarda una delle imprese del gruppo ed essere assente o minima nelle altre. Il motivo che permette quest’ultima interpretazione della legge è, come abbiamo già visto, che la compensazione è stabilita su scala nazionale, quindi assumendo un numero maggiore di disabili in un’azienda, il gruppo imprenditoriale di riferimento può coprire la quota spettante a livello nazionale senza coinvolgere, o coinvolgendole in misura minore, le altre aziende ad esso interne. A questo punto si tratterà di una sorta di compensazione automatica, che non necessita di particolari autorizzazioni. Al contrario, la compensazione pubblica risponde a criteri regionali e qualora dovesse emergere l’esigenza di aumentare la quota di assunzioni, gli enti statali dovranno agire solo previa autorizzazione dell’amministrazione regionale. 

I beneficiari – Ma chi sono i disabili ai quali la nuova normativa si riferisce? In primo luogo, si tratta di soggetti nel pieno dell’età lavorativa che però supportano una disabilità di tipo fisico, psichico e sensoriale nonché impedimenti della facoltà intellettiva che contraggono le capacità lavorative del 45%. Tali disabilità dovranno essere certificate da opportune commissioni e attestazioni mediche. Della rosa delle categorie destinatarie di tali politiche paritarie fanno parte anche invalidi del lavoro, non vedenti e individui sordomuti. Nel primo caso, l’invalidità dev’essere accertata dall’Inail e posta al 33%. Per quel che concerne gli ipovedenti, la cecità deve essere totale o con una capacità di vista inferiore a un decimo per tutti e due gli occhi; anche nel caso della sordità la legge si riferisce a quella assoluta, congenita o sopravvenuta prima che il soggetto potesse imparare a leggere e scrivere. Sono fatti rientrare nel novero delle categorie protette anche gli invalidi civili, di guerra o per servizio come stabilito dal Testo unico Inail. 

Le quote disabili – L’articolo 3, coma 1 della suddetta legge n. 68/1999 stabilisce le soglie minime che le aziende (e ora le P.a.) devono rispettare per essere in regola con la normativa circa le compensazione dei disabili in merito alle assunzioni. “I datori di lavoro pubblici e privati – cita la legge - sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie di cui all'articolo 1 nella seguente misura: a) sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; b) due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; c) un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti”. 

Confronto con la vecchia norma – Il nuovo comma 8 (e 8 -bis, -ter e -quater), articolo 5, della legge n. 68/1999 è vigente solo dal 13 agosto del corrente anno, fino a quella data, come risulta evidente, in merito a tal genere di reclutamento di unità lavorative ci si è avvalsi della vecchia legislazione. Il sostituito comma 8 prevedeva un discrimen individuato nel numero dei dipendenti; vale a dire che, fino a 50 lavoratori le imprese avevano una sostanziale autonomia nel decidere in quale sito a loro afferente potessero destinare le quote disabili da compensare, mentre dal cinquantunesimo dipendente in poi i datori di lavoro erano tenuti a richiedere espressa autorizzazione per quel che riguardava la destinazione degli assunti afferenti a categorie protette. Per quel che concerne le P.a., la differenza tra il vecchio provvedimento e il nuovo sta nel fatto che, a ben vedere, solo con la manovra bis si parla di quote disabili per questo settore della sfera lavorativa. Com’è già stato chiarito, la normativa in atto dal 13 agosto concede ai privati l’autonoma scelta circa la destinazione delle unità disabili eccedenti per completare la compensazione. Dall’altro canto, per il discorso in merito agli uffici pubblici, si evince che l‘assunzione delle quote disabili eccedenti rispetto a quanto determinato può attuarsi solo in seguito ad una motivata richiesta da parte del funzionario dirigente dell’ufficio, ma solo qualora quelle unità assunte in più rispetto all’ordinario compensino una carenza di quote in altri uffici inerenti alla medesima amministrazione regionale.

Manovra-bis: effetti sulle persone con disabilità

Fra le numerose notizie di questi giorni in molti tentano di cogliere se e quali siano le novità immediate per le persone con disabilità e loro familiari contenute nella cosiddetta Manovra-bis approvata dal Consiglio dei Ministri il 12 agosto e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il giorno successivo (Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138).

Innanzitutto va detto che il Decreto si aggiunge alle misure già introdotte nella Manovra di Luglio (Legge 111 del 15 luglio). Inserisce nuove disposizioni di cui ampiamente la stampa sta offrendo una – più o meno – approfondita informazione: aumento della tassazione delle rendite finanziarie, privatizzazioni, tassazioni sui servizi di produzione e distribuzione energetiche, tagli dei cosiddetti costi della politica, incluse la riduzione del numero delle province e accorpamento dei piccoli comuni.

Ma gli aspetti che più peseranno sul sociale sono sostanzialmente due: le restrizioni agli enti locali e l'anticipo della riforma fiscale e assistenziale.

 

Gli enti locali

Il primo risiede nei tagli, anche strutturali e quindi non di emergenza, dei bilanci delle autonomie locali. La misura era già prevista dalla Manovra di luglio, ma nel nuovo decreto il tagli imposti sono ancora più severi. In totale, già nel 2012 Regioni, Province e Comuni dovranno risparmiare 6 miliardi che diventeranno, 6,4 nel 2013, e 6,4 dal 2014 in poi. Per l'esattezza 3,6 dovranno essere recuperati dalle Regioni, 1,7 miliardi dai Comuni (2 miliardi dal 2013) e 700 milioni dalle Province (800 dal 2013 in poi). Il meccanismo è quello del patto di stabilità fra Stato e Autonomie locali cioè un assieme di regole che impedisce agli enti locali di gestire i propri bilanci oltre certi limiti (qualitativi e quantitativi di spesa).

Una restrizione di tale entità incide profondamente nei servizi erogati ai cittadini, in particolare il trasporto pubblico, l'assistenza sociale (cioè i servizi sociali a bambini, disabili, anziani) e, ancora una volta, sulla sanità oltre che su molti altri servizi che oggi vengono garantiti ai cittadini.

Ovviamente agli enti locali rimangono tre possibilità: diminuire la quantità e la qualità dei servizi; aumentare la partecipazione alla spesa da parte dei cittadini, oppure aumentare le imposte locali.

Contestualmente nel nuovo Decreto, aumentano anche i tagli ai Ministeri già previsti dalla Manovra di luglio. La somma totale dovrebbe essere di 7,4 miliardi che un successivo decreto stabilirà come suddividere fra i diversi dicasteri.

Nella conferenza stampa di presentazione del Decreto e in successive dichiarazioni, il Ministro dell'Economia ha assicurato che i tagli non riguarderanno la scuola, laricerca e il 5 per mille, cioè quella parte di prelievo fiscale che ogni contribuente può destinare alle ONLUS o alle Fondazioni di ricerca ed altri soggetti non lucrativi.

Anche in questo caso, 7,4 miliardi di euro sono una cifra ingentissima e difficile da assorbire per qualunque Ministero.

 

La riforma fiscale e assistenziale

La Manovra di luglio, all'articolo 40, individua le modalità per recuperare alle casse dell'erario 24 miliardi: 4 miliardi nel 2013 e 20 miliardi nel 2014. Il Decreto di ferragosto, non fa altro che anticipare quelle misure al 2012 e al 2014.

Sembra un'operazione semplice, se non si ricorda quali sono i meccanismi di questo recupero.

L'articolo 40 del Decreto di luglio prevede un taglio lineare della quasi totalità delle agevolazioni fiscali per la maggioranza dei contribuenti. Per l’esattezza la diminuzione sarà pari al 5% dal 2013 (ora è diventato il 2012) e al 20% nel 2014 (ora, 2013).

Come funziona? Se fino ad oggi, ad esempio, si detraevano 1000 euro di spese sanitarie, dal 2012 se ne detrarranno il 5% quindi 950 e 800 nel 2013. Se sembra poco, va rammentato che quel taglio riguarda anche altre detrazioni, come quelli per i carichi di famiglia, o per il mutuo per la prima casa, o per la bandante/colf o per gli ausili, per i veicoli adattati … oppure le detrazioni per lavoro dipendente.

 

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, riteniamo che questo intervento fiscale colpisca ancora di più i nuclei in cui è presente una persona disabile, o un anziano non autofficiente, poiché le spese detraibili (che spesso comunque contribuiscono ad impoverire la famiglia) sono mediamente più onerose.

Un caso di evidente ulteriore pressione è riconducibile alle minori deduzioni per l’assistenza specifica in caso di grave handicap. Queste operano sul reddito imponibile, abbassandolo, diversamente dalle detrazioni che invece abbassano percentualmente l’imposta. In futuro, quando quelle deduzioni saranno possibili solo riducendole del 20%, il rischio è che il reddito lordo superi determinate soglie e quindi venga tassato con un’aliquota superiore che in precedenza.

 

La delega

La Manovra – come rivista solo per quanto riguarda le date dalla Decreto di ferragosto - sembra lasciare uno spiraglio, ma in realtà non lo è. L’articolo 40 precisa che queste restrizioni non si applicano “qualora entro il 30 settembre 2012 siano adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, tali da determinare effetti positivi, ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l’anno 2012 ed a 20.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2013.”

Nella sostanza: o si taglia sull’assistenza e in generale sulla spesa sociale per 24 miliardi, o vengono applicati quelle riduzioni nelle agevolazioni fiscali.

Il Decreto ha introdotto la possibilità, alternativa o aggiuntiva, per il Governo di rimodulare le anche le imposte indirette (tradotto: IVA, Imposte di bollo, Tasse di successione ecc.). Ma il fulcro di questa operazione rimane la spesa sociale.

Diviene, quindi, centrale l’approvazione della legge delega sulla riforma del fisco e dell’assistenza, ma con queste premesse anche l’attesa “riforma” ha tutte le premesse per rivelarsi molto rischiosa per le persone anziane o con disabilità.

Si noti quella frase citata poco sopra: “eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali”. Che significa “si sovrappongono”? Il fatto stesso che ci si possa porre questa domanda significa che c’è ampio margine di discrezionalità per poter decidere – in un domani molto vicino – che chi accede a prestazioni sociali o sanitarie agevolate non abbia più diritto ad agevolazioni fiscali. Si potrebbe arrivare a sostenere che, per un figlio che percepisce l’indennità di accompagnamento o di frequenza, non si ha diritto alla detrazione per figli a carico, oppure se si ottiene un assegno di cura o per la vita indipendente non si può più detrarre/dedurre gli oneri relativi ad una badante.

Ma la delega che cosa prevederà? Il Governo ha già presentato la bozza di legge delega e presto – molto presto – arriverà alla discussione in Parlamento.

Che cosa ci dobbiamo aspettare?

Le aspettative le traiamo dalla lettura della bozza di legge delega già approvata dal Consiglio dei Ministri nel luglio scorso e in attesa di approdare alle Camere. Qui la discussione sarà condizionata dal clima attuale.

Come tutte le leggi di delega, anche in questo testo sono indicati i principi generali e gli ambiti su cui il Governo è autorizzato, successivamente, a legiferare con propri decreti legislativi.

L'articolo 10 del disegno di legge riguarda appunto la riforma assistenziale.

Il titolo stesso dell’unico articolo che riguarda la “riforma assistenziale” fa comprendere che non si tratta di una profonda ristrutturazione del comparto quanto piuttosto di Interventi di riqualificazione e riordino della spesa in materia sociale. Cioè spendere meno.

Le linee di azione sono rilevanti per moltissimi Cittadini, per molte Amministrazioni locali e per un numero potenzialmente significativo di Associazioni di volontariato chiamate a gestire alcuni servizi.

I decreti legislativi del Governo – che ha tempo due anni per emanarli – saranno finalizzati «alla riqualificazione e integrazione delle prestazioni socio assistenziali in favore dei soggetti autenticamente bisognosi, al trasferimento ai livelli di governo più prossimi ai cittadini delle funzioni compatibili con i principi di efficacia e adeguatezza, alla promozione dell’offerta sussidiaria di servizi da parte delle famiglie e delle organizzazioni con finalità sociali».

Su questi principi generalissimi, che vedono una restituzione ai Comuni di alcune competenze e un coinvolgimento del no-profit, il disegno di legge individua una serie di criteri direttivi.

Indicatore del bisogno

I termini “autenticamente bisognosi” usati nel testo sono tutt’altro che casuali. Come ha avuto modo di anticipare il Ministro Tremonti, si intende definire ed adottareuno specifico “indicatore di bisogno” ai fini della concessione di prestazioni e provvidenze assistenziali. Il titolare del Ministero dell’Economia si è spinto più in là:«Crediamo che l’indicatore adottato dal Trentino sia uno strumento condivisibile».

Ma di che parla Tremonti? Per sommi capi, nel Trentino il bisogno, o meglio il bisogno assistenziale, viene valutato ai fini della concessione dell’assegno di cura, una provvidenza aggiuntiva all’indennità di accompagnamento (Legge provinciale n. 6/1998), introdotta per sostenere l’assistenza e la cura delle persone non autosufficienti favorendo il loro permanere nel rispettivo ambiente familiare e sociale.

La misura dell’assegno varia a seconda di due variabili: il grado del bisogno assistenziale rilevato e la condizione economica del nucleo familiare.

Il bisogno assistenziale viene rilevato – in modo differenziato a seconda che l’interessato sia minore, adulto o ultrasessantacinquenne – utilizzando specifiche scale di valutazione (fra cui Indice di Barthel, ADL, cioè la capacità di svolgere specifici atti quotidiani elementari). In particolare, negli adulti e negli anziani vengono valutate le funzioni cerebrali superiori, la mobilità della persona e la capacità della persona di svolgere le attività quotidiane della vita.

Quindi i tratti essenziali del quadro futuro potrebbero essere tre: valutazione precedente dell’invalidità civile e riconoscimento dei requisiti per la concessione dell’indennità di accompagnamento; valutazione (e misurazione) del bisogno assistenziale; valutazione della situazione economica del nucleo familiare.

Va detto, non come mera digressione, che la Provincia Autonoma di Trento ha anche adottato un proprio indicatore della situazione economica (diverso dall’ISEE adottato nel resto del Paese).

ISEE

E tornando alle indicazioni del disegno di legge di delega, il primo criterio di riforma risiede proprio nella revisione dell’ISEE (l’Indicatore di Situazione Economica Equivalente), con particolare attenzione alla composizione del nucleo familiare. Va rammentato che l’ISEE già considera la composizione del nucleo familiare e che alcuni quozienti sono già applicati se sono presenti minori, disabili o anziani. Inoltre, oltre al reddito del nucleo, tiene in considerazione, pur al di sopra di determinate franchigie, la casa di abitazione e il patrimonio mobiliare (titoli, risparmi ecc.).

È, quindi, difficile intuire quali siano le reali intenzioni del Governo: se far pesare di più determinate situazioni di potenziale disagio, oppure attribuirvi un peso inferiore. Oppure far pesare di più i redditi e il patrimonio. Inoltre va rammentato che abitualmente l’ISEE viene applicato quando si richiedono prestazioni sociali agevolate: è cioè uno strumento usato per definire la partecipazione alla spesa e che gli enti erogatori possono modificare nell’incidenza dei singoli indicatori. L’attenzione prioritaria all’ISEE significa che si intende conferire una maggiore efficacia agli strumenti per la partecipazione alla spesa e renderli più stringenti anche per gli Enti locali.

Ed infatti il secondo criterio indicato prevede il riordino dei criteri, inclusi quelli relativi alla invalidità e alla reversibilità, dei requisiti reddituali e patrimoniali, nonché delle relative situazioni a carattere personale e familiare per l’accesso alle prestazioni socio assistenziali. Si noti che non solo si fa riferimento al reddito ma addirittura al patrimonio (es. abitazione, risparmi ecc.).

Armonizzazione

Il terzo criterio è un “classico” delle leggi di delega: l’armonizzazione. In questo caso ad essere armonizzati sono i «diversi strumenti previdenziali, assistenziali e fiscali di sostegno alle condizioni di bisogno». Essendo il concetto di “armonia” piuttosto fluttuante, questo genere di delega consente spesso al Legislatore di abrogare o introdurre disposizioni al di là degli intenti originari, con largo margine di discrezionalità.

Il disegno di legge sostiene la necessità di armonizzare al fine di «evitare duplicazioni e sovrapposizioni»«favorire una adeguata responsabilizzazione sull’utilizzo e sul controllo delle risorse da parte dei livelli di governo coinvolti anche, ove possibile e opportuno, con meccanismi inerenti al federalismo fiscale». Ed infine, come ultima motivazione, un altro “classico”: l’integrazione dei servizi sanitari, socio sanitari e assistenziali, refrain che ritorna nella normativa di settore da almeno vent’anni.

Indennità di accompagnamento

Un quarto criterio è quanto mai ambiguo: «istituzione per l’indennità di accompagnamento di un fondo per l’indennità sussidiaria alla non-autosufficienza». Non si comprende se tale indennità sussidiaria alla non-autosufficienza sarà integrativa dell’indennità di accompagnamento oppure se la sostituirà e come. Quello che segue nel testo del disegno di legge non aiuta a disvelare l’arcano.

Il Fondo sarà ripartito tra le Regioni, «in base a standard afferenti alla popolazione residente e al tasso di invecchiamento della stessa, nonché a fattori ambientali specifici». È forse una misura a favore della popolazione anziana non autosufficiente?

A questa «indennità sussidiaria alla non-autosufficienza» vengono poi attribuiti dei compiti “salvifici”: favorire l’integrazione e la razionalizzazione di prestazioni sanitarie, socio sanitarie e sociali (ancora); favorire la libertà di scelta dell’utente; diffondere l’assistenza domiciliare; finanziare prioritariamente le iniziative e gli interventi sociali attuati sussidiariamente via volontariato, no-profit, Onlus, cooperative e imprese sociali, quali organizzazioni con finalità sociali.

Certamente non va ignorato che anche queste indennità saranno concesse agli “autenticamente bisognosi”, e quindi si apre concretamente l'ipotesi che l'erogazione dell'indennità di accompagnamento – comunque denominata – sia legata al reddito.

La carta acquisti

La carta acquisti, “soluzione” cara a questo Governo ma sinora un po’ debole in quanto ad effetti positivi, è il quinto criterio. L’intero sistema sarà trasferito ai Comunisingoli e associati, senza una previsione di maggiore spesa. Anzi, lo scopo è di «integrare le risorse pubbliche con la diffusa raccolta di erogazioni e benefici a carattere liberale, di affidare alle organizzazioni non profittevoli la gestione della carta acquisti attraverso le proprie reti relazionali».

Il modello è quello dell’assistenza caritatevole, di cui lo Stato si libera delegandola al privato sociale, senza attribuire risorse certe.

INPS

Un ultimo caposaldo della riforma assistenziale: nuove competenze per l’INPS.

All’Istituto verrà attribuita (anche) la competenza relativa all’erogazione delle prestazioni assistenziali quando assumono il carattere di contributo monetario diretto, in coordinamento con Regioni ed Enti locali.

E, sempre all’INPS, verrà attribuito il compito di “schedatura” o, più precisamente, di organizzazione del «fascicolo elettronico della persona e della famiglia attraverso la realizzazione di un’anagrafe generale delle posizioni assistenziali, condivisa tra le amministrazioni centrali dello Stato, gli enti pubblici di previdenza e assistenza, le Regioni e gli Enti Locali, al fine di monitorare lo stato di bisogno e il complesso delle prestazioni di tutte le amministrazioni pubbliche»

 

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CAORLE La singolare vicenda in un condominio di Duna Verde: se ne parlerà in assemblea
L’ascensore "salta" il piano dove vive un disabile

Martedì 27 Luglio 2010,
CAORLE - Umberto D'Anna ha 36 anni, moglie e due figli. Lavora come assistente amministrativo all'Itis di Thiene. A prima vista parrebbe una vita "normale", ma Umberto ha dovuto combattere per ottenere questa "normalità". Dalla nascita, infatti, è affetto da tetraparesi spastica, una malattia che, dopo ventuno interventi chirurgici, gli consente di camminare sorreggendosi sulle stampelle. Ma anche per quest'uomo combattivo, che nell'autobiografia dal titolo "In un cerchio di vita" ha raccontato con ironia e speranza la propria storia, ci sono dei limiti. Uno di questi, incredibile a dirsi, è rappresentato dalla scala che conduce alla sua casa estiva di Duna Verde. Il condominio Playa, all'interno del quale si trova l'appartamento della famiglia di Umberto, ha una sorprendente particolarità: l'ascensore che serve l'edificio non si ferma al primo piano. Lo fa al secondo, al terzo ed al quarto, ma non al primo dove si trova l'abitazione di Umberto. Ci ha provato Umberto a superare quella ventina di scalini che lo separano dal pianerottolo di casa, ma dopo alcuni tentativi ha dovuto rinunciare. E così, pur disponendo di un alloggio, si è visto costretto ad affittare un appartamento al secondo piano, comodamente accessibile grazie all'ascensore.
      La situazione paradossale ora potrebbe essere ad una svolta. A fine giugno, Umberto e la moglie hanno presentato un esposto alla Polizia locale per chiedere un accertamento sulla conformità dell'ascensore alla normativa dettata in materia di barriere architettoniche. Ad agosto, inoltre, si riunirà l'assemblea di condominio che dovrebbe pronunciarsi, dopo un primo rifiuto, sulla messa a norma dell'ascensore. «Ritengo che ci sia tutta la volontà di risolvere la questione - ha commentato l'amministratore di condominio -, anche se penso che ci sarà battaglia sulla ripartizione delle spese». Da una parte, infatti, c'è chi vorrebbe che fosse il solo Umberto a corrispondere le spese per la realizzazione dell'accesso al primo piano. Dall'altra, il tecnico di Thiene ritiene invece che la spesa vada suddivisa. (R.Cop.)